sabato 21 novembre 2015

Venezia, tra Corto Maltese e il cinema, nel ricordo di Papa Hemingway



Venezia vale bene dei giorni di pioggia. Venezia vale reumatismi e brividi diffusi. Recandovisi d'autunno, coi pochi residui turisti vaporizzati o rinchiusi negli hotel, per le sue strade ci si imbatte soltanto in cittadini infreddoliti che si occupano di sbrigare commissioni.



Venezia non è una città come le altre, possiede una fiera decadenza tutta sua. Sono pochi i punti di accesso per quella che un tempo era la capitale della Serenissima Repubblica. E meno ingressi ha una città, meno è attaccabile, deturpabile, snaturabile. Rimane ciò che è sempre stata: la galleggiante ultima Porta d'Oriente, da cui passavano genti di culture diverse via mare. Via terra, ci si può arrivare solo con la ferrovia o con l’auto, certo lasciando quest'ultima però al parcheggio lontano, al di là dello strano e controverso ponte di Calatrava. L'aeroporto è lontano, tutta un'altra faccenda come testimonia lo straordinario spettacolo teatrale di Marco Paolini "Il Milione". È lontano perché qui la distanza si misura in passi, o in nodi, non in chilometri. È remoto perché Venezia è una zattera via l'altra, si solcano canali, ci si spinge col proprio sguardo al di sopra dell'ombrello, a cercare particolari che anche passando per le sue calli centinaia di volte, si ha l'impressione siano sempre nuovi, attuali segnali di ciò che il tempo non può consumare. Volete un museo ideale fatto a città? Venite qui d'estate, tra le centinaia di turisti che la centrale Stazione Santa Lucia vomita a fiotti sul piazzale antistante. Volete una città reale, trattata per troppi mesi all'anno alla stregua di un museo? Fate un salto in autunno, ben vestiti, sfidando il gelo della brezza che soffia sul mare e congela le orecchie, vi spinge a cercar rifugio nei bacari, nelle cicheterie venexiane. Qui tutto è commercio, come sempre è stato nelle città di confine, anche lo scirocco è abile venditore. 
  
Guardate Fellini e "Venusia" sprofondare negli occhi del suo Casanova. Se non state attenti, la colonna sonora di Nino Rota potrebbe risuonarvi in testa per anni. Questa è la laguna, un'immagine sgranata di un vecchio film anni 70: il mantellino rosso che corre via in "Un dicembre rosso shocking", Nino Manfredi che gira a vuoto in "Nudo di donna". 

 

Corto Maltese che inizia le sue avventure dalla sua amata Corte sconta. 



Hemingway che organizza battute di caccia all'alba, l'ufficiale di "Di là dal fiume e tra gli alberi" che consuma il proprio ultimo amore con una giovane veneziana.

Arrivare a Venezia in un giorno di pioggia, le strade deserte, è tutto questo. Vi sono centinaia di percorsi possibili da intraprendere per questo arcipelago. Consigliato, sarebbe il primo giorno girare senza meta, facendosi trasportare come una gondola non dalla corrente, ma dai profumi delle osterie che si susseguono una dopo l'altra, dalle luci ambrate delle vetrine delle botteghe di vetri, merletti, di vestiario. Riservare un giorno alla visita delle isole, magari quelle più insolite tra le poche in realtà che si possono totalmente visitare. Un terzo giorno poi, si potrebbe scegliere uno degli itinerari più congeniali, senza contare le centinaia di esibizioni d'arte fra cui poter scegliere.

Dove alloggiare, innanzitutto? Prendere casa nelle vicinanze di Sant'Elena, significa scendere decisamente di prezzo ma anche lasciarsi alle spalle la confusione delle calli più frequentate. Inoltre, i battelli sono a due passi ed è possibile fermarsi a mangiare da "La vecia Gina", rientrando la sera.  


Provare l'ebbrezza di camminare tra i veneziani, ascoltare il loro dialetto dalle mille sfumature, sfidarli a chi passa per primo all'imbocco dei vicoli più stretti. Tutto questo è stranamente possibile, sia girando per i quartieri verso Santa Lucia, sia spostandosi dalla stazione Santa Lucia verso l'Arsenale in un grigio giorno d'autunno. Se l'obiettivo è raggiungere la Biennale, la cosa migliore è armarsi di pazienza e farsela tutta a piedi. Lungo il tragitto, ci si può improvvisare Corto Maltese. Il personaggio nato dalla fantasia di Hugo Pratt da Malamocco, Lido (ma non dimentichiamo un giovane Marco Steiner nella veste di suo prezioso assistente) vede una delle sue storie più avvincenti scaturire letteralmente da una piccola corte che si trova lungo l'asse Ovest-Est, per la precisione in Corte Botera, vecchia fucina di botti e abitazioni di bottai. 


Bisogna fare attenzione, non cercate "Corte sconta detta arcana" su google map, o vi ritroverete si in zona Arsenale, ma di fronte all’omonimo ristorante. Per arrivare alla vera corte della storia, bisogna seguire le indicazioni per l'Arsenale fino al'altezza della Basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Una volta in zona, è consigliato chiedere. In caso di timidezza, caratteristica non certo consigliata per un viaggiatore, ecco qui le indicazioni: Corte Sconta. Sempre da quelle parti, non si dovrebbe mancare la visita della "Libreria della'acqua alta", un locale unico nel suo genere, in cui libri e fumetti usati galleggiano sul pavimento di una sorta di sotoportego con tanto di entrata / uscita sul canale adiacente.  Altra cosa sono le numerose botteghe antiquarie che si possono scorgere ovunque, ben disseminate. Qui, realmente potreste dare uno sguardo ad una prima edizione dell'insaziabile Giacomo Casanova, toccare magari con mano un volume sopravvissuto alla peste del 1630. 



La morte rossa di cui parla Poe in uno dei suoi racconti più famosi, che Visconti ha così ben delineato nel suo film "Morte a Venezia", dal romanzo di Thomas Mann. 

Un'incessante vento gelido dà il benvenuto, una volta giunti all'Arsenale; qui è d'obbligo osservare i quattro leoni posti all'ingresso dello stesso, trofei di guerra riportati da Francesco Morosini dalla Grecia, proprio come una delle più famose tavole di Pratt. Un ingresso della Biennale è proprio qui, zona di costruzione nautica. Negli anni di maggior lavoro, offriva ospitalità a più di 5000 persone provenienti dai più disparati paesi del bacino del Mediterraneo. Si varavano anche 2 navi al giorno, assurdo se pensiamo alla mole di lavoro che vi stava dietro. L'altra zona della Biennale è quella dei Giardini, Sant'Elena. Zona di partenza e di ritorno se si alloggia da quelle parti.

Attraverso uno dei ponti più celebri, Rialto, si può tornare in zona centrale, verso San Marco. Inutile dilungarsi sulla storia degli edifici che si affacciano. Il campanile, è stato teatro della sua stessa ricostruzione, dopo il crollo d'inizio '900; quasi cento anni dopo fu conquistato militarmente con un finto carro armato dai seguaci della Liga Veneta.

All'imbocco del Canal Grande, risalendo per la coda del serpente che forma il corso d'acqua, si trovano diversi edifici interessanti. Dalla grandiosità della Basilica di Santa Maria della salute, all'Hotel Gritti proprio di fronte, riaperto da qualche anno e che ospitò Ernest Hemingway durante i suoi numerosi soggiorni in terra veneziana. Poco distante, al termine di Calle Vallaresso, vi è dagli anni '30 l'Harry's Bar, meta dello scrittore oltreché di altri grandi della letteratura americana e non solo. Oltre la basilica, sull'altra sponda del canale, vi è la singolare Ca' Dario, abitazione al cui nome è legata la dipartita prematura e misteriosa di alcuni tra i suoi abitanti. Sorvolerò per non annoiare sul presunto legame tra la sua ubicazione e gli influssi negativi che avrebbe la coda del suddetto serpente secondo alcune filosofie orientali: il capo verso la terra ferma, l'estremità opposta rivolta verso il mare. Storie ovviamente del tutto surreali quanto piene di fascino, a riprova del fatto che la banalità della normalità non sia mai stata gradita dall'uomo in nessuna epoca. Il cortile interno della dimora affaccia sulla calle che si percorre per recarsi alla Peggy Guggenheim Collection, immancabile tappa verso l'incompiuto Palazzo Venier dei Leoni. Poche opere, importanti, ben proposte: un esempio seguito dai musei del passato, modello indiscusso per i musei che verranno. Proseguendo controcorrente lungo il canale, l'errare senza meta farebbe giungere allo stupendo ponte in legno dell'Accademia. Poco oltre, si scorge un altro grande palazzo delle esposizioni veneziane: Ca' Rezzonico. Poi Ca' Foscari e la sua università. Dopo la prima svolta decisa del canale, si giunge fino a Rialto, grande esempio di ponte dalle numerose attività commerciali. Dopo aver scorto in pieno San Polo il Campo della Pescheria, ancor oggi uno dei più importanti mercati ittici della città, in un attimo si è di nuovo verso Piazza San Marco. Gremita nei periodi di festa, il giorno di Carnevale sembra sul punto di sprofondare per il peso dei suoi ospiti agghindati di tutto punto. Qui il carnevale è una cosa seria, tanto è vero che il costo dei costumi può anche arrivare a cifre considerevoli per maschere classiche eseguite artigianalmente: Pantalone, Colombina, il Medico della peste si aggirano furtivi nella notte, al rientro dai festeggiamenti; quest'ultimo è riconoscibile per la caratteristica mascherina a becco, in cui un tempo erano pressate le erbe aromatiche che si diceva tenessero lontana la morte.

Nel ritorno verso la stazione, merita di certo fermarsi qualche istante a visitare l'ex Ghetto Ebraico. La sua antica storia cinquecentesca, è ricollegata alla promulgazione da parte della Serenissima di una legge che imponeva la segregazione a tutti gli ebrei abitanti in città. Essi, malvisti dai cristiani, erano costretti, durante le ore di buio, a rinchiudersi all'interno delle calli del quartiere. Quartiere peraltro collegato al resto della città mediante due soli ponti che venivano chiusi la notte mediante cancellate.     



Ad ogni ora dai moli partono battelli, impossibile non avere la curiosità di salire su uno di essi e lasciarsi trasportare verso le vicine terre emerse. La sera è magica l'atmosfera sul canale, scendendo verso il mare aperto. Le luci dei palazzi che vi si affacciano, i canali minori laterali da cui sbucano inattesi motoscafi dai lumi fiochi. Da Sant'Elena invece, parte l'avventura verso tutte le isole limitrofe. Basta munirsi di abbonamento giornaliero e una buona giacca a vento e si può passare tutto il giorno ad errare per l'arcipelago. Tra le terre più vicine, vi è la Giudecca, isola residenziale piuttosto tranquilla. Se si vuole staccare la spina basta giungere all'attracco di fronte alla Chiesa del Redentore e voltarsi per rimirare il profilo del centro città da una lontananza del tutto relativa. Una volta stanchi del vento incessante, ci si può rifugiare in una delle osterie più vicine, prima di riprendere il traghetto e spostarsi di nuovo. La vicina isola di San Michele, divenuta cimitero della città dalla seconda metà del'800, ospita la tomba del poeta Ezra Pound. San Servolo, un tempo manicomio lagunare e prima ancora convento benedettino, oggi ospita all'interno la succursale dell'Accademia di Belle Arti di Venezia.

Al Lido, è buona cosa attraccare in occasione della Mostra del Cinema. Qui, ogni cosa è pellicola 16:9, compresa la spiaggia in cui furono girate memorabili scene di "C'era una volta in America" e quella conclusiva di "Morte a Venezia". A Malamocco, si diceva, vi è anche la casa in cui risiedeva Hugo Pratt.    

Tornando ad Hemingway, egli, al ritorno dalle sue battute di caccia mattutine in laguna, era solito fermarsi a mangiare dall'amico Giuseppe Cipriani, all’omonima Locanda a Torcello. Da qui venne l'ispirazione che lo portò a dedicare a questi luoghi numerose pagine del suo romanzo "Di là dal fiume e tra gli alberi", composto proprio sull'isola. La locanda esiste ancora oggi, la si scorge lungo il canale che dall'attracco dei battelli conduce verso la piazza di Torcello, poco dopo il ponte del diavolo. Torcello è uno dei più antichi insediamenti umani in laguna e oggi è quasi disabitata. I silenzi offerti durante la visita delle strutture ecclesiastiche presenti, la Chiesa di Santa Fosca e la Basilicia Di Santa Maria Assunta, sono impagabili.

Ma l'isola di gran lunga più incantata, è di certo San Lazzaro degli Armeni. Visitarle non è facile, i battelli verso questa destinazione non sono moltissimi, ma basta segnarsi le poche partenze. La sua storia recente narra di una confraternita di padri Armeni, che spinti ad espatriare in seguito all'invasione turca, si rifugiarono su quest'isola creandovi uno dei centri di cultura armena più importanti al mondo. Attraccarvi la domenica mattina, significa avere la possibilità di partecipare ad una messa dal rito davvero affascinante, all’interno della minuscola chiesa di San Lazzaro. Nel chiostro poi, sono presenti mostre fotografiche sulla terra d'origine dei sacerdoti. Curioso, il fatto che vengano prodotte e commercializzate nelle stesse strutture, confetture di petali di rosa.

La meraviglia che destano in noi questi piccoli mondi a se stanti, un tempo quasi del tutto isolati, è direttamente proporzionale alla perdita di curiosità che ci investe troppo spesso a causa del fatto di poter avere quasi tutto in qualsiasi momento. Venezia è una chiave di lettura antica per un mondo che qui, per certi versi, è rimasto quello di un tempo: geograficamente isolato, concettualmente più legato al mondo delle navigazioni marittime che a quello della terra ferma.

IN BICICLETTA FINO AL LIO PICCOLO



Volendo osservare tutto ciò da lontano, per meglio mettere a fuoco, è consigliabile con la bella stagione recarsi all'estremo occidente della penisola di Jesolo. Spingendosi oltre gli stabilimenti balneari che lasciano poi il posto a campeggi e piccoli centri, si giunge prima al Cavallino ed infine a Ca' Savio. Da qui, l'ideale è abbandonare l'auto e salire in sella ad una bicicletta in direzione Lio Piccolo. Tra abitazioni immerse tra terra e canali, poche osterie lungo le strette strade, si arriva dopo qualche chilometro alla piazza del Lio, una antica corte con tanto di campanile e frasca dove abbeverarsi alla buona.

 
Un tempo qui vi erano orti, pascoli, stagni da pesca e qualche piccola attività artigianale. Oltre a tracce di insediamenti in epoche lontane. Salendo sull'alto campanile ristrutturato da poco, ci si rende meglio conto di essere ospiti di piccoli lembi di terra strappata al mare. 


Dai sentieri limitrofi, percorribili solo  a piedi o in bicicletta, è meraviglioso abbandonarsi alla visione di garzette, gabbiani, aironi e persino di fenicotteri in alcuni periodi dell'anno. Sullo sfondo la laguna veneta e Venezia sullo sfondo, così lontana e così vicina. 

 

Venezia vale bene dei giorni di pioggia.


venerdì 13 novembre 2015

Cine-viaggio padano: Padernello, Pizzighettone, Cremona

 
Transitare nella bassa bresciana, verso i sapori del cremonese: il fiume Oglio, l'Adda, il Po. L'atmosfera fiabesca di Padernello, le delizie storico-culinarie di Pizzighettone, la strada verso Cremona, città non più "delle tre T", ma delle cinque. Due province, quella di Brescia e di Cremona, troppo a lungo sfruttate dall'industria e ora coraggiosamente riconvertite a una dinamica ben più lungimirante: quella cultural-enogastronomica.

La bassa bresciana, nel periodo autunno-invernale, merita un on-the-road lungo strette strade costeggiate da fossi che conducono a stalle, a capannoni abbandonati, a paesini addormentati ma fucine di piccole perle. La nebbia è pressoché perenne e per questo è consigliabile muoversi seguendo le rotte impostate da moderni navigatori elettronici. Persino gli antichi, potendo, si sarebbero orientati in questo modo su queste pianure orfane della stella Polare per nove mesi l'anno.


Giungere a Padernello optando per la ben più veloce autostrada, uscita Manerbio, è comunque accettabile, ma ci si perde gran parte degli scorci paesaggistici. Il trecentesco maniero del paesino, frazione di Borgo San Giacomo dalla fine degli anni '20, è di rara bellezza. Castello Martinengo è infatti uno dei migliori esempi di ristrutturazione conservativa. 

 
Contornato da fossato con tanto di ponte levatoio, è passato nelle mani di diverse famiglie nobili fino al 2005 e successivamente è stato rilevato dal comune e ora è gestito da una fondazione che ne garantisce la buona gestione. Innumerevoli e lodevoli iniziative sono atte a mantenere in vita il piccolo borgo: da quelle culinarie ai locali mercati della terra, a rappresentazioni teatrali, tutte visualizzabili sul sito: http://www.castellodipadernello.it. Anche una semplice visita guidata all'interno della residenza, può far capire l'importanza strategica di questa struttura fortificata costruita nel bel mezzo di una pianura in cui scorribande di ogni tipo portavano spesso scompiglio.  Sulla strada che porta dalla chiesa al castello, ancora si affacciano le antiche case-botteghe, con le loro caratteristiche aperture ad "L", rimaste inalterate nei decenni. Spostandosi verso il piazzale della chiesa, e prendendo per un sentiero che sembra condurre in mezzo ai campi, si può giungere dopo circa 500 metri a Ponte San Vigilio. Si tratta di una vera e propria opera d'arte del lodigiano Giuliano Mauri: diverse parti di arbusti intrecciate, creano un tunnel e un ponte che permettono di attraversare una parte di bosco e poi una roggia. 

     

Stupendo esempio di come la maestosità degli elementi naturali in questo caso siano impiegati non solo come ricerca estetica, ma anche all’utile fine di creare un tramite tra due terre senza l'ausilio di disboscamento né del più dannoso cemento.

Da Padernello, la città murata di Pizzighettone si trova ad una quarantina di chilometri e segna una certa continuità di paesaggio tra le provincie di Brescia e Cremona. Anche se dal fiume Oglio si passa all'Adda, ciò che accomuna i paesi è la buona volontà dell'associazionismo locale che si è rimboccato le maniche ed ha creato dei preziosi esempi di riscoperta attiva di cultura locale. Il fine ultimo è limitare al minimo la scomparsa delle tradizioni, ciò che ridurrebbe del tutto questi centri alla stregua di tristi dormitori, e allo stesso tempo evitare l'eccessiva museizzazione delle aree. 


Il cuore di Pizzighettone è proprio il fiume Adda, un ponte conduce alla frazione di Gera. Al di qua il perfetto stato delle case matte, il monito delle prigioni, la Torre del Guado, la chiesa di San Bassiano; al di là del corso d'acqua: la borgata, le mura, la chiesa di San Pietro. 


Procedendo con ordine, le 93 case matte presenti lungo le fortificazioni - circa 2 km - , erano sale a botte che ospitavano non solo i militari d'istanza in città, ma erano anche adibite a magazzino. Le prigioni sono rimaste attive per decenni, l'abbandono è avvenuto a metà degli anni '50 a causa dall’umidità eccessiva con cui i carcerati erano costretti a fare i conti. La torre del Guado, nelle vicinanze del ponte, si dice sia stata la prigione del Re di Francia Francesco I di Valois. Nella chiesa di San Bassiano vi sono importanti testimonianze storiche, su tutte gli affreschi di Bernardino Campi. In Gera, le centinaia di metri di mura devono essere ancora recuperate del tutto. Mentre la chiesa di San Pietro rappresenta un curioso recupero dell'originaria chiesa settecentesca, attraverso l'applicazione di mosaici e marmi. Tutte le strutture sopra descritte, possono essere ammirate nei fine settimana, quando la Proloco locale organizza diverse manifestazioni storico-gastronomiche: dalle semplici visite guidate ed ottimamente argomentate, a mercati del gusto a livello sia nazionale che locale, a banchetti tipici a base di Fasulin de l'öc cun le cudeghe, "fagiolini con l'occhietto e cotiche". 

Lina Wertmüller nel '96 ha girato un film, proprio qui: "Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica"; la sua visione potrà aiutare a meglio addentrarsi nelle provinciali atmosfere cremonesi. 

Provinciali, appunto. Non a caso il quotidiano locale si chiama proprio "La provincia" e ad una ventina di chilometri di strada si trova Cremona, a due passi dal Po.

Altra patria della cinematografia nazionale, non tanto per aver avuto alcune tra le sue più celebri vie immortalate in lungometraggi, ma soprattutto per aver dato i natali ad uno dei più grandi attori di casa nostra: Ugo Tognazzi, classe 1922. Certo, lui si sarebbe trasferito di lì a poco in altre città, seguendo il padre che spesso per ragioni di lavoro veniva trasferito, ma poco è bastato a trasformare ben presto la città delle tre T (turòon, Turàs e tetàs: torrone, Torrazzo, e... seno abbondante), in città delle quattro T: in aggiunta, proprio quella di Tognazzi, a cui è stato anche dedicato il teatro cittadino.

Cremona, città delle nebbie che conservano e insaporiscono le carni di maiale, dei lessi gustati con l'aggiunta dell’immancabile mostarda cremonese, che differisce da quella mantovana per l'utilizzo dei molteplici tipi di frutta e verdura, non solo delle mele cotogne. La visita della città, non può che iniziare nel cuore di un centro storico ricco di fascino e largamente trasformato negli ultimi 20 anni.  

Attraverso un grande lavoro da parte degli amministratori locali, l'idea di città industriale - concetto secondo il quale ogni città di pianura doveva un po’ somigliare ad una piccola Milano, in cui l’ottusa operosità andava spesso a discapito di una ridotta vivibilità - non solo è entrata in crisi, ma per certi versi sembra ormai morta e sepolta. Negli ultimi anni ha di fatto ceduto il passo all'arcaico-innovativa idea di città a misura di artigiano. Le botteghe in cui ancora oggi si producono violini con metodi non troppo differenti da quelli utilizzati centinaia di anni fa dal cremonese Antonio Stradivari, qualche anno fa erano nascoste nelle centrali vie cittadine. Oggi vivono un momento di rinascita in cui c'è grande spolvero del "sapere-come si produce" (mettendo al bando l'inglesismo know-how), e appaiono come piccole gioiellerie disseminate nel centro città. Per chi volesse approfondire l’argomento Stradivari, da qualche anno può visitare un museo tutto nuovo dedicato al liutaio più famoso del mondo: Museo del violino.

     
 
Tornando al discorso delle "T", in piazza Duomo si erge maestoso dal 7° secolo dopo Cristo il famoso Torrazzo, secondo campanile storico per altezza nel nostro paese, circa 110 metri. Accanto, il duomo cittadino con la coppia di leoni posti a difesa del portale d'ingresso e lo stupendo Battistero.

Di fronte il Palazzo Comunale in mattoni rossi, dietro il quale si dischiude un'altrettanto antica piazzetta. Incanta in inverno piazza Duomo avvolta dalla nebbia alle prime luci della sera, con la gente che si affretta in bicicletta ad effettuare le ultime compere, qualcuno che trova riparo nelle vecchie torrefazioni o nelle pasticcerie del centro.

Pasticcerie davvero numerose, che sfornano non solo torroni di altissimo pregio, ma anche altri dolci tradizionali. Di fronte al Negozio Sperlari, Locale Storico d'Italia di Via Solferino, vi è la Pasticceria Lanfranchi che artigianalmente produce negli stessi locali dalla fine dell'800. Dopo la gola un po' di cultura. L'associazione Tapirulan, ha sede in una via piuttosto centrale. Occupandosi di stampa e di design, cura la pubblicazione di diverse opere autoprodotte e merita certo una visita. Venisse un languorino verso sera, dilettatevi nella creazione del vostro personale tramezzino. La città sembra essersi innamorata negli ultimi anni del pan carré e il sabato sera sembra ripiombati nei paninari anni '80.

domenica 1 novembre 2015

Canyon in Italia: Bismantova, Lunigiana e Garfagnana

 
C'è un territorio italiano ben poco noto. Compreso tra la profonda Emilia e l'alta Toscana, viene tagliato fuori dalla due principali arterie che collegano le regioni del nord a quelle centrali. Se ne frega dei confini, tanto è vero che anche Dante, giunto da queste parti, ammise: "... qui convien ch’om voli...". Fa da trade union fra dialetti tra loro a primo ascolto molto diversi. Unisce persone rimaste legate a piccole comunità - alcune davvero difficili da raggiungere - che s'accorgono del variare delle stagioni dalle colorazioni che assumono i faggi, i carpini, i castagni; dalla consistenza dei funghi e dalla dimensione dei tartufi raccolti nei boschi. Cosa unisce leggende di stregoneria alle diverse tradizioni oggi gastronomiche, un tempo di sussistenza? Vita semplice e lenta, come quella di centinaia di anni fa, benché oggi sia semplificata un poco dall'odierna tecnologia che facilita spostamenti e comunicazioni.

« Vassi in Sanleo e discendesi in Noli, montasi su Bismantova e 'n Cacume con esso i piè; ma qui convien ch’om voli; dico con l'ale snelle e con le piume del gran disio, di retro a quel condotto che speranza mi dava e facea lume » (Dante, Purgatorio, canto IV, vv.25-30)




Ci si incunea in questi paesaggi collinari, scendendo nella bassa Valpadana, tra le province di Modena e di Reggio nell'Emilia. In direzione Sassuolo, si prende a salire da subito. La prima tappa è Castelnuovo ne' Monti, capoluogo dell'Appennino reggiano. Qui, appena fuori paese, sorge maestosa la Pietra di Bismantova, formazione calcarea che si staglia ad oltre mille metri. 

 
A vederla apparire dalla radura che da sotto la nasconde, l'effetto è davvero dirompente: come accorgersi di avere il Grand Canyon in miniatura a pochi chilometri da casa. A dire il vero la sua storia recente le attribuisce l'immeritata fama di zona dei suicidi, in realtà sono centinaia gli scalatori che la scelgono per le loro arrampicate, potendo offrire sia pareti "appoggiate" che vie particolarmente dure. 

 
Dal parcheggio sottostante si raggiunge facilmente il piccolo rifugio adiacente la roccia, e da qui si prosegue per diversi sentieri, alcuni anche davvero faticosi. 


Da segnalare, quanto meno per coraggio, un'escursione di più giorni che parte da qui per giungere al mare delle cinque terre. 

Il più semplice e certamente battuto, è quello che porta in vetta. Qui lo spettacolo è notevole: l'autunno permette di scorgere frammenti dei sottostanti boschi di noccioli ingialliti spuntare tra le nuvole. 

 
La seconda tappa del viaggio, prevede una totale immersione nella guida tra i tornanti delle montagne che separano l'Emilia dalla Lunigiana. Per raggiungere Equi Terme, è necessario dotarsi di una buona dose di pazienza, e dei buoni antiemetici per chi sta in auto sul sedile posteriore. 

Dopo aver solcato il confine regionale attraverso il Passo del Cerreto, si fa sosta a Pieve San Paolo, già provincia di Massa. Un piccolo ristorante lungo la strada, di fronte alla Pieve medievale: giusto due passi per sgranchirsi le gambe. Dopo pochi chilometri si giunge finalmente nel comune di Fivizzano, per la precisione nella magnifica frazione di Verrucola

 
Questo borgo medievale, nato a ridosso di un piccolo torrente, ospita la Fortezza della Verrucola, grande struttura difensiva sorta poco dopo l'anno 1000, e nei secoli contesa tra le famiglie locali - tra cui l'antica signoria dei Bosi, i Dallo, i Nobili di Castello Aghinolfi - e i Lucchesi ed i Malaspina. All'ombra del castello, si possono gustare i piatti della tradizione presso l'Osteria Locanda il Castello. Proseguiamo così verso Pian di Molino fino ad Equi terme. Una volta giunti qui, nella stagione autunnale, con gli stabilimenti termali chiusi, non resta che avventurarsi lungo il letto del torrente Aulella in cerca delle pozze d'acqua termale. In realtà la temperatura dell'acqua è intorno ai 25°C, quindi a parte mettere i piedi a mollo per trarne un leggero benefico, non ci si può bagnare molto di più. Tuttavia è possibile addentrarsi nelle grotte adiacenti, ricche di depositi calcarei e torrenti sotterranei, oltre che corredate da un interessante museo (Grotte di Equi Terme.)

All'imbrunire, si fa ingresso in Garfagnana e nella provincia di Lucca. Il suo nucleo abitativo più grande, circa 6.000 abitanti, è Castelnuovo di Garfagnana, nemmeno 300 m. sul mare, paese tagliato in due dal fiume Serchio. 


 
Il centro storico è davvero ben tenuto, ma più che dal punto di vista turistico del termine, da quello delle attività sociali.

   

Molte attività commerciali sono mantenute vive dall'affluenza degli abitanti che si affrettano per le ultime compere prima della chiusura serale. Percorrendo la via centrale, si arriva alla Rocca Ariostesca; il poeta qui visse nella prima metà del '500 in qualità di governatore. Molte sono le manifestazioni - soprattutto a carattere culinario e musicale - che si tengono durante l'anno. Nei primi giorni d'autunno, è possibile ritrovarsi di fronte al duomo e alla sua maestosa torre campanaria a gustare mondine (le castagne) e vin brulé.

L'indomani si parte per visitare la zona nord, verso Sasso Rosso, zona di faggeti secolari. 


 
In lontananza, si scorge il leggendario quanto malinconico Monte dell'uomo morto. Dopo centinaia di tornanti arriviamo nel microscopico borgo che prende il nome dal blocco di marmo rosso su cui è posto: poche case anch'esse in marmo rosso, poste come a guardia di un territorio aspro quando affascinante, abitato fin dall'epoca preistorica. 


Non è raro da queste parti la domenica imbattersi in serrate cacce al cinghiale, cacciagione che poi rifornisce i locali ristoranti: ottimi da queste parti sia le sue carni in umido che trasformate in insaccati: su tutti, il culatello. 
Il poco distante Castiglione di Garfagnana, 500 metri circa d'altitudine, è chiamato anche "Il paese della musica", grazie all'importanza delle Filarmonica Alpina locale. 

 
Conserva quasi intatte le mura, il castello medievale, e le due chiese di San Michele e San Pietro. Merita di certo una passeggiata nel silenzio che avvolge i suoi vicoli. Ma cosa non è silenzio da queste parti? Il vicino Parco dell'Orecchiella è una sorpresa. Oltre alla fauna libera nei boschi circostanti, formata da lupi appenninici, cervi, mufloni, cinghiali, falchi e aquile reali, sono ospitati in regime di cattività - ma di certo non così estrema come nei comuni zoo cittadini - alcuni esemplari di orsi bruni e daini. 


Le particolari recinzioni permettono un'esperienza davvero interessante e coinvolgente. Per ogni tipo d'informazione è buona cosa rifarsi al sito: www.parcoappennino.it/pagina.php?id=148. Per il ritorno verso nord, si può scegliere tra Passo Radici e Passo San Pellegrino. Optando per quest'ultimo, si arriva al paese abitato posto alla maggiore altitudine dell'intera catena montuosa appenninica, 1524 m. Al tramonto, i colori delle foglie di faggi, castagni, carpini, danno vita ad un carnevale fuori stagione, arricchito dai raggi del sole che a quest'altitudine lambiscono le gomme della nostra auto in corsa.