venerdì 14 novembre 2014

Dublino: Stone upon stone




"Se ho scelto Dublino per scena è perché quella città mi appariva come il centro della paralisi." Questo scriveva Joyce, nel suo Ulisse. Il nostro continuo girovagare invece, ci ha fatto intuire che non esistono posti sospesi nel tempo, non esiste un tempo unico. Esistono però grazie a Dio posti diversi tra loro: è questa l’unica vera ricchezza del mondo.


Solo tre giorni effettivi per perdersi nella dolce bruma dublinese sono davvero pochi, oltretutto un giorno intero vorremmo anche passarlo sulla costa, ad Howth. Con queste premesse, partiamo da Orio al Serio un mercoledì sera, il ritorno sarà la domenica mattina all'alba, unico modo per risparmiare qualcosa con Ryanair. Negli zaini una copia di Dubliners di Joyce e un catalogo delle bellezze dell'isola recuperato a febbraio alla BIT.



Appena atterrati, dobbiamo fare i conti con la fine pioggia che ogni giorno - per almeno 10 minuti narra la leggenda – infradicia i vestiti degli irlandesi. Alloggiamo a The Charles Stewart Guesthouse, in Parnell square, a due passi da "The Spire", lo spillone che svetta alto nel notturno cielo rosso della città. 

Resisto dalla tentazione di infilarmi nel primo pub che incontro, la Guinness N.1 del viaggio voglio gustarla l’indomani al St.James's Gate. Potendo, arrivateci a piedi di mattina, c'è meno ressa. Una rassegna dei molti ponti che passano sul fiume Liffey è ciò che ci vuole la mattina per digerire un'Irish Breakfast preparata come si deve. Da Flanagans costa sugli 8 euro a testa, té incluso, ma c'è da scoppiare: fagioli, uova, salsicce, bacon, black pudding (sanguinaccio speziato), verdure alla piastra, pane e burro. 

 

Infilando il viale d'ingresso della factory, sembra di piombare nell'800 vittoriano. Cavalli legati a paletti, su strade di ciottoli levigati dal tempo e dai carri che portavano orzo per poi ricondurre al porto cataste di barili di birra. A St.James's Gate, alla fine del '700, il lungimirante Signor Guinness in persona prese in affitto dal comune questa vasta area (un decimo circa del centro città) per 9000 anni. Il tutto al modico prezzo di 45£. La parte centrale dello stabile che ospita il museo, ha la forma del bicchiere della mitica stout. 

 
Passando in rassegna i vari piani, si passa dal negozio di cimeli del piano terra, ai vari ingredienti, dalle varie fasi della fermentazione della bevanda - in cui il multimediale è mischiato sapientemente ad antichi macchinari in uno fino a pochi decenni fa - al confezionamento e al lavoro dei bottai e dei trasportatori. Il tutto con l'ausilio di una audio-guida molto pratica. Giunti al 5° piano, ci è possibile utilizzare il buono-stout (consegnatoci all'entrata) per metterci alla prova come spinatori. Possiamo così godere del suo gusto inimitabile, orgogliosi dell'attestato che ci viene rilasciato. Giunti al 7° piano, al GravityBar possiamo continuare a bere osservando la città a 360° da una sorta di cupola in vetro.


Davvero ottimo, se si vuole osservare dall'alto la disposizione dei vari edifici e giardini della città: i molti nomi sono scritti sulle pareti trasparenti. Per il pranzo non serve spostarsi di molto, al piano della degustazione, al Arthur’s Bar è possibile mangiare spezzatino e pane alla Guinness.

 
Giornata monotematica, ma davvero stupendo il tutto. Usciamo alle ultime luci pomeridiane e ci dirigiamo ancora più ad ovest, verso l'IMMA: Ireland's museum for modern and contemporary art


Come ogni museo pubblico, è visitabile gratuitamente, ma a dire il vero a parte la location davvero suggestiva - The Royal Hospital, risale alla fine del '600 - diciamo che non ci ha convinto del tutto in quanto ad opere esposte; comunque merita un giro. Mentre la luna sale in cielo, torniamo verso il centro e ci spostiamo in zona Dublinia (un museo sui primi insediamenti vichinghi locali) e Christ Church, cattedrale vichinga risalente al 1100, ma ricostruita in gran parte alla fine dell'800 da un produttore di whiskey filantropo. 

 
Proseguendo verso est, ci si imbatte nel Dublin Castle, maniero risalente al XIII secolo. Fu per molti secoli il centro del potere politico inglese, ed è visto perciò dagli abitanti con non troppa simpatia. In ogni caso, osservarlo la sera, attraversare il suo piazzale e sbucare dall'altra parte è davvero d'effetto. Nonostante vi siano vaste aree destinate a parcheggio qui intorno, gli ultimi edifici costruiti in prossimità delle mura stemperano molto bene il passaggio tra antico e nuovo. La stanchezza si fa sentire, ma la curiosità ha la meglio, così scendiamo verso St.Stephen's Green alla ricerca della statua di Oscar Wilde, proprio di fronte alla casa in cui abitò in giovane età. Le case in questa via, e nei viali limitrofi, sono tutte in stile georgiano, vale a dire facciata molto classica, qualche gradino per accedere all'ingresso e porte ognuna di colore diverso. La leggenda vuole che il motivo della loro diversa colorazione, sia da imputare ai ripetuti errori d'individuazione della propria dimora da parte dei proprietari che ubriachi vi rientravano a tarda notte.

 


Il giorno seguente, la pioggia e il freddo non ci frenano di certo. Coperti con scadenti kway - immancabili, mai venire da questa parti senza -  ci mettiamo in moto, destinazione Trinity College, e la sua inestimabile biblioteca che si dice cresca di alcuni chilometri di scaffali ogni anno. Causa orario un po' infelice, la coda è già piuttosto cospicua, quindi ci accontentiamo di passeggiare per il cortile interno, sotto l'insistente pioggia autunnale. Decidiamo di asciugarci un po' le ossa presso la National Gallery: altra scorpacciata di cultura gratuita. Poche opere a dire il vero, distribuite però davvero ottimamente lungo i corridoi e le grosse sale. Da Beato Angelico a Caravaggio, da Canaletto a Van Dyck e Brueghel il giovane. Davvero una carrellata che scalda lo spirito anche dell'osservatore meno attento. Uscendo, riaffrontiamo la pioggia e facciamo rotta a sud, in cerca di un locale di cui ci hanno parlato molto bene. The Bernard Shaw è un locale storico, aperto dalla fine dell'800, in zona St.Stephen's Green. Un gruppo di italiani da qualche anno si è inventato di esportare in questa sorta di pub storico-avanguardistico-squat la cucina italiana. Si mangiano ottimi arrosticini e la sera si può cenare a base di pizza sull'autobus parcheggiato nel cortile interno! Davvero niente male, anche se per scelta all'estero non cediamo mai alla cucina italiana. Spostandoci a nord, in direzione dell'antica distilleria Jameson, passiamo accanto alla St.Patrick Church, famosa cattedrale protestante in cui dovrebbero essere custodite le spoglie del grande scrittore Jonathan Swift. Noi non entriamo, sfiliamo solo accanto all’esterna statua di Benjamin Guinness e proseguiamo: siamo in ritardo per la visita alla distilleria. 

Una volta arrivati all'Old Jameson Distillery, (i ticket costano 15 euro e si entra scaglionati) restiamo sorpresi per l'ambientazione di questa sorta di museo: molto è rimasto com'era decenni fa. Il tour fa visitare alcune sale in cui sono ricostruiti gli ambienti in cui il whiskey (attenzione, da non confondere col whisky americano o lo scotch) veniva prodotto, ma la guida spiega molto in fretta e anche per questo è poco coinvolgente. Si astengano assolutamente tutto coloro che non capiscano l'inglese alla perfezione; questa è certo una pecca, tutti dovrebbero essere messi nella condizione di capire, dato l'oneroso biglietto d'entrata, attraverso una guida che parli a una velocità umana, oppure mediante audio-guide. Alla fine del tour c'è anche un assaggio di whiskey (oppure si può scegliere un cocktail) ma complessivamente l'esperienza non ci ha entusiasmato molto. Rispetto al giro alla Guinness, qui ci è parso di aver fatto un giro a Gardaland. All'uscita è ormai buio e ci bardiamo per affrontare la camminata sotto la pioggia. Facciamo rotta verso il pub più antico della città (risale al 1100): al The Brazen Head Pub sono da poco passate le cinque e la gente sta già cenando. Così ordiniamo l'ennesima birra e l'ennesimo cocktail whiskey-ginger ale e addentiamo onionrings ottime e patatine fritte niente male, mentre il nostro sguardo si posta qua e là nelle piccole sale col camino acceso. 


Sembra proprio di stare a casa, l'aria che si respira nei pub è davvero conviviale ed accogliente, niente a che vedere con quella che c'è nei nostri locali: il risultato è che non te ne andresti mai. Più tardi passiamo di nuovo di fronte a St.James Gate, poi tagliamo verso Temple Bar, è venerdì sera e forse è il momento di affrontare la ressa. 

 
Entriamo di straforo in un paio di pub sovraffollati a rubare qualche scorcio di brani e restiamo davvero colpiti dall'entusiasmo con cui ogni gruppo locale (che suona ovviamente sempre e soltanto irish music) viene salutato e di come la gente si scateni al suono della fisarmonica e del violino. Temple Bar è insostenibile a quest'ora, così ci spostiamo di nuovo verso il Liffey. 


Lungo la strada, la nostra attenzione è catturata da una strana piazzetta interna, la cui copertura è realizzata con strutture simili a steli di calle giganti ravvicinati.

È l'ingresso all'Irish Film Institute, altro esempio di come da queste parti la cultura - in questo caso quella cinematografica – non sia appannaggio di pochi eletti, bensì uno dei pilastri su cui poggia la società irlandese. In questi giorni ci sono retrospettive sul cinema francese e mai mi sarei aspettato di vedere tali file ai botteghini per la proiezione di film impegnati vecchi e nuovi. Mi limito a curiosare nel bookshop e poi proseguiamo la passeggiata verso Parnell Street. 

 
L'ultimo giorno prendiamo la DART da Connolly Railway Station (5€ a persona a+r) in direzione Howth, piccolo paese di pescatori molto caratteristico, attendendoci una località iper-turistica. 

 
Niente da fare, anche in questo caso si tratta di un villaggio che ha ben mantenuto le sue caratteristiche, senza grandi hotel e scempi architettonici a deturpare il paesaggio naturale. Sul molo dove fino a cento anni fa c'erano case dei pescatori e piccole aziende per la trasformazione ittica, ora ci sono ristoranti di altissima qualità e negozi che offrono il meglio del pescato giornaliero, oltre agli affumicatoi dove ancora oggi trattano la carne di salmone col fumo del legno di quercia. Appena usciti dalla stazione andiamo a destra, cercando il Deer Park Golf Club, ricavato sui terreni dell'antico castello di Howth. Il maniero è ancora visibile ma non è visitabile internamente. Tornando verso il porto, non stiamo nella pelle: abbiamo letto che nuotano foche lungo questi moli e non possiamo perderle. Anche se all'inizio non si fanno vedere, man mano che i pescherecci vanno e vengono, fanno la loro comparsa sulla scia delle imbarcazioni. 

 
Tra il cibo che accettano di buon grado dai turisti e gli scarti di pesce che gettano loro dalle navi, devono mangiare parecchio. È così strano vedere animali che appartengono alla sfera del sogno e dei libri, fare comparsa di fronte a noi così platealmente, davvero un'emozione. Dopo esserci spostati verso il crinale che si trasforma ben presto in scogliera - continuando per qualche chilometro verso sud-est si incontra il faro più spettacolare della penisola, ma le nostre scarpe non lo consentono, se venite da queste parti dotatevi di scarpe da trakking - torniamo al molo ed entriamo nell'unico ristorante che non sia interamente prenotato perlopiù da gente del posto. Al Deep restaurant pranziamo con dell'ottimo fish&chips e del formidabile salmone affumicato. Poi, seguendo le indicazioni, arriviamo all'antico centro di Howth, fondata dai vichinghi prima dell'anno 1000. Oltrepassando una chiesa priva di tetto, prendiamo al volo un autobus che porta verso l'Howth Baily Lighthouse. Il costo salatissimo del bus, non ci permette di esultare per la fatica risparmiata;


Oltretutto è doverosa una precisazione: arrivati in cima al promontorio, per raggiungere il faro è necessario farsi altri 20 minuti a piedi per arrivare... da nessuna parte, dato che il faro è chiuso al di là di un cancello invalicabile. C'è da dire che il panorama che ci godiamo al tramonto da qui è impagabile. 

 
Tornando, facciamo in tempo a guardarci l’ultima partita di rugby della nazionale all'O'Neill's Bar, enorme pub su tre piani con una Guinness notevole.   


 

CONSIGLI DI VIAGGIO:

- Per spostarsi dall'aeroporto al centro città, usate il bus Aircoach (12 euro a/r) preso all'uscita del terminal; si arriva in città in una ventina di minuti (ha corse sia di giorno - ogni 15 minuti - che di notte - ogni 30 minuti - da e per l'aeroporto).
- Dove dormire? Un bel B&B in pieno centro, pulito e tranquillo: The Charles StewartGuesthouse, in Parnell square.
- Negli infopoint, potrete recuperare la mappa gratuita della città e acquistare i ticket per il museo Guinness ad un prezzo scontato: sui 18 euro. 
- Avete il volo prestissimo la mattina? Scordatevi di riuscire a dormire in aeroporto; vi sono pochissimi giacigli ricavabili. 

domenica 9 novembre 2014

Maratona ad Atene



 
Questa è la storia di un viaggio lungamente pensato, della preparazione atletica di ragazzi volenterosi, e della voglia di mettersi alla prova. 32° edizione della Maratona di Atene. Lo scopo è uno solo: partecipare ad ogni costo.


Partiamo in tre, mio fratello Nicolò, Eliana e me, dall'aeroporto di Milano Orio al Serio. In poco più di due ore siamo ad Atene. 


Una volta arrivati, prendiamo la metropolitana e in mezz'ora siamo in pieno centro, zona piazza Syntagma.




Da qui dobbiamo continuare verso il palazzetto dello sport in cui si regolarizzano le iscrizioni alla Maratona. Siamo qui non per semplice turismo, ma per partecipare ad una delle corse più appassionanti al mondo: la Maratona… di Maratona.  I miei compagni di viaggio, già comunque iscritti via internet mesi prima) ricevono chip e sacca con tutto l'occorrente per la corsa. Io non sono registrato, causa ginocchio dolorante che mi ha impedito di prepararmi al meglio, ho deciso che proverò a seguire il tracciato camminando. Al banco informazioni, mossi a compassione ed increduli dopo aver intuito le mie intenzioni, mi regalano un pass valido per l'utilizzo dei mezzi pubblici in città. Non poteva andarmi meglio, in effetti. Arriviamo all’ Hotel Dryades (consiglio vivamente: comodissimo e 55 euro a testa per 4 notti!) piuttosto tardi, dopo esserci fermati lungo la strada a cenare col primo Pita Gyros del viaggio.   

La zona in cui alloggiamo è la vivissima Exarchia, quartier generale anarco-alternativo della capitale. I bar e i chioschi si susseguono nelle stradine in salita dello storico quartiere. Come è consigliabile fare il giorno prima di una corsa, andiamo a dormire tardi, rapiti dall'effervescenza degli edifici limitrofi, su cui writers ligi al dovere fanno a gara di bravura. 


Domenica la sveglia è alle 5. Con un taxi ritorniamo in Syntagma, sede del parlamento, e prendiamo l'autobus che ci poterà direttamente a Maratona, nord-est di Atene.

 
L'assembramento degli atleti, è previsto all'interno dello stadio della squadra locale. L'organizzazione è davvero maniacale e non manca proprio nulla per poter attendere il proprio turno e partire al meglio. 

Dopo aver effettuato un leggero stretching, parto ad affrontare i primi 30 chilometri di sola salita. 

Sulle spalle l'immancabile zaino in cui ho provviste (acqua, cioccolata, cracker) e in cui finiranno i vestiti in pile che mi sfilerò man mano che la temperatura si alzerà. 


Col senno di poi, consiglio a chiunque fosse interessato di non portare proprio nulla con sé, i vestiti meglio legarli in vita dato che i chili pesano sulle spalle; oltretutto lungo tutto il percorso i volontari distribuiscono acqua e ogni genere di viveri a chiunque ne abbia bisogno.

Dopo aver abbandonato il paese, a circa 2-3 km c'è una leggera deviazione che ti porta verso il mare. Passato questo tratto, la strada è quasi totalmente dritta, la corsa si effettua sull'asfalto della tangenziale che collega Maratona con Atene. Non mi dilungherò oltremodo a descrivere la fatica di camminare - non oso immaginare il correre - a quasi 30°C, ricompensata però ampliamente dall'emozione di vedere paesi in festa (Rafina, Pikermi, Pallini) in cui l'intera popolazione lungo la strada incita i passanti a fare del proprio meglio: canti e cori, ballerini di sirtaki, bambini urlanti, dj con musica house a tutto volume, suonatori di tamburi. 

 
Sul tracciato, i partecipanti non sono da meno: genitori che spingono carrozzine correndo, centurioni romani scalzi, uomini in kimono, ragazze in gonna ed ex marines. Vengo inghiottito dalla ressa che man mano che ci avviciniamo a metà percorso inizia a distribuirsi in maniera più uniforme lungo la strada. Tra barrette energizzanti, banane atte ad evitare i crampi e litri e litri di acqua ed altre bevande, arrivo con gran fatica al 30° km. Qui inizia ad essere l'inerzia a non farmi fermare e crollare a terra. Verso la fine, già entrato in città, mi devo bloccare un paio di volte dai medici per applicare un gel contro i crampi e per medicare le vesciche. Avvicinandosi ai 40 si inizia a pregustare l'arrivo allo storico Stadio Panathinaiko, realizzato interamente in marmo bianco alla fine dell'800, e in grado di accogliere più di 80.000 persone.


Dopo aver transitato sotto l'ultimo cavalcavia, si arriva ad un rettilineo che nasconde la visuale; fino a che non ci si capita dentro, lo stadio rimane misteriosamente nascosto. Chiudo con un tempo forse migliorabile: 7 ore e 40.


Dopo esserci sdraiati sugli spalti, a goderci gli ultimi arrivi e la gente festante intorno, decidiamo saggiamente di fare ritorno all'hotel a piedi. 
Alla sera una frugale visita ad un ristorante tipico a due passi dall'hotel, in cui suonano dal vivo.






Il giorno successivo ci perdiamo ad ammirare il panorama dall'ultimo piano del palazzo in cui alloggiamo. La città si estende a perdita d'occhio, ma dà l'impressione dei essere armonica, senza alcun tipo di forzature.

 
Oggi visitiamo il Pireo, penisola appena fuori città.


Arrivati al porto, ci perdiamo prima nei confusionari viali centrali – un tempo era zona popolare di fabbriche - poi riusciamo a raggiungere una spiaggia oltre il golfo. Qui ci riposiamo sotto un sole quasi estivo, brandendo una lattina di Fix Hellas, la birra che non ci ha abbandonato neppure per un istante. 




La Lacordialità della gente del posto è notevole, ovunque ci si sposti qualcuno ci offre da bere; più tardi, in un'osteria nelle vicinanze, qualcuno ci offre pure da mangiare. Non siamo abituati a cotanta cortesia, restiamo davvero colpiti.
Dopo aver girato per un po' nel Pireo, verso sera riprendiamo la metro (utilissima, pulita ed efficiente, assolutamente consigliata per gli spostamenti, molto più dei tram) e arriviamo in uno dei quartieri più turistici e pittoreschi, Monastiraki, decisi a fare la spola tra qui e la Plaka. Appena usciti dalla metro, la visione dell’acropoli in notturna è davvero d'effetto. 


Giriamo tra i negozi di artigianato artistico e arriviamo a Bretto, una distilleria antica "a centimetro zero", in cui producono dall'ouzo (liquore all'anice) al brandy, passando per il fortissimo raki. Se andate, attenzione alle quantità che servono: un aperitivo veloce qui può farvi vivere in un'esperienza alla Big Lebowski: da provare assolutamente. 


Una delle cose che più mi ha colpito, è che la tradizione da queste parti non solo è rigorosamente rispettata, ma è anche perpetrata in modo del tutto naturale: in moltissimi locali ogni sera suonano musica rebetika. Non che gli altri generi musicali siano osteggiati o censurati, ma dato che chiunque da queste parti suona uno strumento tradizionale, resta poco spazio a tutto ciò che non è locale. Questo forte attaccamento alle proprie radici, nonostante la crisi economica (che peraltro non si respira molto più che in Italia, da quanto abbiamo potuto vedere nel nostro piccolo) mi fa apprezzare ancora di più i tratti del popolo greco: valoroso e resistente.




Una faccia una razza, dicono qui, in italiano; sostengono che siamo uguali, noi italiani e loro greci: francamente credo che questo accostamento non sempre renda giustizia a questa gente meravigliosa.



Dedichiamo l'ultimo giorno al percorso turistico per antonomasia: Partenone e Acropoli, poi Lycabetto. Se avete partecipato alla Maratona, oltretutto il prezzo del biglietto scende da 12 a soli 6€. Inutile soffermarsi sull'emozione di rivedere con i propri occhi qualcosa che ci è da sempre famigliare (dai tempi della scuola). La cosa migliore è prepararsi prima con una buona rispolverata alla storia antica, e poi inerpicarsi lungo viali e teatri millenari, perdersi fra le sue favolose rovine. 

 

Cercare di memorizzare nozioni sotto il sole di novembre - e non voglio neppure immaginare quanto caldo e quanta gente affolli questo sito in estate - è un'impresa da eroi mitologici. 


 
Restiamo a passeggiare sulla rossa terra ateniese per alcune ore, poi ci incamminiamo reflex al collo verso il Lycabetto, monte da cui si gode la migliore vista panoramica sulla capitale. 

Una funicolare sotterranea, al modico prezzo di 7 euro, ci traghetta sulla sommità della collina, sede peraltro anche di un ristorante, oltre che di una delle chiese ortodosse più caratteristiche della città. Restiamo fino a tramonto completo per godere dell'accensione delle luci sulla sconfinata piana ateniese: panorama davvero mozzafiato. 

 

Una volta scesi, prendiamo la metro per vedere un altro paio di posti, tra cui Omonia, ma la bellezza della zona in cui siamo alloggiati è una sirena che ci richiama a sé. Ceniamo in un ristorante meraviglioso,ΝΑΥΑΓΙΟ ΤΩΝ ΑΓΓΕΛΩΝ, la proprietaria parla inglese: qui chi non lo conosce, parla italiano, magari per ragioni famigliari. 


Mi consente di provare a suonare un buzuki, poi mangiamo lumache, mussaka con melanzane chiare di rodi, stoccafisso fritto con puré d'aglio. Nel dopocena ci sediamo ad un bar nelle vicinanze a sentire musica rebetika: tre musicisti funambolici si esibiscono di fronte a pochi avventori, come fosse la normalità. Credevo che un'atmosfera così fumosa e malinconica, ma allo stesso tempo meravigliosamente fiera, si potesse respirare soltanto nei film, nell' “In debito” di Andrea Segre e Vinicio Capossela. E invece Atene è così: una vecchia signora acciaccata che non perde occasione di sfoderare il suo antico fascino.    

CONSIGLI DI VIAGGIO:

- Indicazioni per chi dovesse seguire le nostre orme: una volta arrivati di fronte allo stadio del Panathinkaykos, chiedete, non è così facile trovare il TAE KWON DO Indoor Hall & Exhibition Centre (zona Olympic Faliro Coastal Zone), causa indicazioni assenti. 
Non portatevi nulla lungo il percorso, i volontari vi sfameranno e vi disseteranno a dovere.    
- Se dovete scegliere dove alloggiare, scegliete quartieri vivi come Exarchia. Consiglio l’ Hotel Dryades, comodo e costo davvero contenuto.